Riportiamo il documento completo che il Comitato nazionale di bioetica ha approvato il 25 febbraio scorso in merito alla possibilità che un farmacista possa appellarsi all’obiezione di coscienza nel rifiutare un contraccettivo di emergenza. Per 15 membri del Comitato l’obiezione di coscienza va riconosciuta anche ai farmacisti, mentre di opinione opposta sono 9 membri: in 25 concordano comunque che laddove il diritto all’obiezione di coscienza per i farmacisti fosse approvato per legge, la stessa legge dovrà tutelare il diritto della donna ad accedere al farmaco. Due membri si sono astenuti ed uno soltanto si è dichiarato contrario al documento stesso. (documento completo del Cmb)
I punti che avvalorano il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza sono i seguenti:
– il foglietto illustrativo del farmaco cita, tra gli altri, l’effetto di impedire l’impianto di un embrione eventualmente già presente nell’utero materno ed è quindi considerato abortivo da chi ritiene che la gravidanza abbia inizio a partire dalla fecondazione.
– Come sottolineato dal presidente della Fofi, Andrea Mandelli, nel corso dell’audizione al Cnb, “il farmacista è un operatore sanitario in base alla normativa vigente e anche, se non interviene ovviamente nel processo di diagnosi e indicazione della terapia, ha tuttavia una sua competenza specifica per quanto attiene al farmaco nei confronti del cittadino, prova ne sia che è tenuto al controllo della ricetta”.
– In ogni caso, anche chi non appartiene alla categoria del personale sanitario può legittimamente richiamarsi all’obiezione di coscienza.
– La distinzione tra partecipazione diretta o indiretta non ha rilevanza morale in quanto entrambe le azioni contribuiscono ad un eventuale esito abortivo in una catena di causa ed effetti senza soluzione di continuità: anche il ruolo meno diretto (la dispensazione del farmaco, previo esame e controllo della ricetta) è pur sempre un anello decisivo della catena che porterà alla possibile eliminazione farmacologica dell’embrione.
– poiché nella maggioranza dei casi il medico, consultato a distanza di poco tempo dal rapporto sessuale, non è in grado di diagnosticare un pericolo concreto per la salute della donna derivante dall’eventualità di una ipotetica gravidanza, ma solo di stabilire se nelle condizioni di salute in cui la donna gli si presenta non vi siano controindicazioni obiettive all’assunzione del farmaco. La ricetta, quindi, non costituisce un’indicazione terapeutica vera e propria.
Per il fronte opposto, pur riconoscendo “l’assoluta correttezza deontologica ed etica del farmacista che invochi la clausola di coscienza”, a rendere impossibile il riconoscimento legislativo del diritto intervengono una serie di elementi quali:
– il fatto che il farmacista si limiti a garantire l’efficienza della farmacia, senza alcun coinvolgimento giuridico sulla prescrizione e a volte senza neppure conoscere personalmente chi assumerà il farmaco (Che fine ha fatto il ruolo del farmacista come consigliere e consulente nell’uso del farmaco?)
– Se si riconoscesse sul piano legislativo al farmacista il diritto all’obiezione di coscienza gli si conferirebbe una duplice facoltà: da un lato, di censurare l’operato del medico, dall’altro, di interferire nella sfera privata e più intima della donna impedendone di fatto l’autodeterminazione. In entrambi i casi si deve rilevare come si crei una lesione dell’altrui diritto. (Come mai non viene accusato di ciò anche l’infermiere che invoca la clausola di coscienza nell’ambito della legge 194/1978?)
– Non si tratta di negare alcun diritto al farmacista, ma di prendere atto dell’impossibilità di garantire con assoluta certezza il prioritario diritto della paziente. (Come si fa ad affermare ciò a priori, cioè prima di leggere il testo di una legge che ne regoli l’applicazione e che deve garantire il diritto di farmacista e paziente?)
Il documento ha comunque ricevuto l’approvazione di 25 membri del Cnb, mentre contro si è schierato Demetrio Neri. Si sono invece astenuti Salvatore Amato ed Emma Fattorini, il primo perché, spiega nella postilla a sua firma, “dal parere non emerge con chiarezza cosa pensiamo della natura e dei limiti dell’obiezione di coscienza”. Il Cnb ha costruito un’analogia tra la figura professionale del medico e quella del farmacista, l’analogia con l’aborto chimico; tuttavia, secondo Amato, le discussioni e le argomentazioni susseguite nel corso del confronto hanno evidenziato che “le analogie erano molto sottili e non abbastanza evidenti”.
L’ultima postilla porta la firma di Riccardo Di Segni, che pur avendo dato parere favorevole al documento, “condividendone le conclusioni”, non si riconosce in nessuna delle due posizioni. “Da una parte ritengo che esista un diritto all’obiezione; dall’altra valuto con attenzione le osservazioni di chi nega questo diritto, ma non uso queste osservazioni, come fanno i loro sostenitori, per negare il diritto al riconoscimento legislativo dell’obiezione, quanto per considerarlo un diritto ‘debole’, non assoluto, che deve cedere davanti a un diritto che ritengo più forte, che è quello dell’utente di avere il farmaco prescritto dal medico. Come hanno spiegato i rappresentanti dei farmacisti – continua Di Segni -, in questo Paese la teoria si scontra con la realtà organizzativa, per cui effettivamente in determinate zone il rifiuto di uno o più farmacisti può significare la reale indisponibilità del farmaco. Ritengo a questo punto che, pur riconoscendo in generale il diritto all’obiezione, laddove, per ragionevoli motivi organizzativi sia impossibile reperire il farmaco in situazioni di urgenza in una determinata area, il diritto del paziente sia prevalente e pertanto non sia consentito esercitare il diritto all’obiezione all’unico farmacista dell’area”.
Invito i colleghi a leggere attentamente i vari passaggi del documento, traendo le opportune riflessioni: è comunque importante sottolineare che il diritto all’obiezione di coscienza non viene messo in discussione. Sembra difficile per qualcuno considerare il farmacista un vero operatore sanitario: credo comunque che siano proprio i farmacisti che per primi devono considerarsi tali e dimostrare di essere difensori della salute e della vita dell’individuo.