Cosa significa essere farmacisti cattolici oggi? Questa domanda mi viene spesso rivolta dai colleghi e dai clienti della farmacia. Quale risposta dare, se non quella che nasce dal quotidiano impegno nella fede, ma con quali parole. Colgo l’occasione scrivendo questo primo articolo per il sito dell’UCFI di Venezia, per provare a cercarle o meglio per lasciarle emergere. Non voglio riempire queste righe di citazioni e richiami a personaggi famosi, ma solo stimolare una riflessione sul nostro ruolo, sul senso della nostra vita e del nostro servizio.

Essere un farmacista cattolico non vuol dire certo avere un impegno e una professionalità diversi o migliori rispetto a coloro che non si sentono cattolici: seguendo il nostro codice deontologico si può essere degli ottimi professionisti nel campo della salute e rispondere in modo efficace alle esigenze dei cittadini. Ma forse ci si aspetta qualcosa di più da noi, un qualcosa che è meno legato alla nostra professione in senso stretto, e più al modo di porsi in relazione con le persone, integrati nel tessuto sociale nel quale sempre più la farmacia sta diventando punto di riferimento.

Da cristiano questo “di più” lo associo alla mia fede, al quotidiano vivere la Parola di Dio, al riconoscere le necessità del prossimo. Di certo chi si pone lontano dalla fede è più attento a certi aspetti della nostra professione che considero meno importanti, come il guadagno, la preparazione nel marketing, la promozione dell’impresa. Provate a pensare a quei momenti nei quali un cliente si rivolge al proprio farmacista semplicemente per renderlo partecipe di un lutto in famiglia, di una nascita, di un evento particolare: non desidera certo un farmaco o un consiglio sulla posologia, ma una parola di conforto, la vicinanza di una persona, un gesto d’attenzione. A volte può bastare un abbraccio, una stretta di mano, un sorriso per donare serenità e gratificazione. Per alcuni l’idea di permettere ad un cliente di uscire dalla farmacia senza avergli venduto qualcosa risulta incomprensibile, ma non tutto può essere ricondotto al semplice “dare per avere” o all’esercizio del commercio: c’è veramente qualcosa in più.

Anche l’appartenenza ad una associazione cattolica è un modo per essere coerenti con le proprie idee e la propria morale. Non è certo una via per distinguersi o sentirsi migliori. Nel mio caso appartenere all’UCFI rappresenta un impegno e una possibilità in più per crescere umanamente: in una famiglia non tutti hanno le stesse idee, ma confrontandosi ci si può arricchire e conoscere i propri limiti per saper offrire al meglio i “talenti” che possediamo.

Chi è allora il farmacista cattolico o chi lo può diventare? Tutti coloro che svolgono la nostra professione ed hanno ricevuto il Battesimo lo sono di diritto. Molti, dopo essere stati battezzati, hanno rinnovato e riconfermato i loro propositi e il “Credo” della nostra fede nella Cresima, e alcuni nella celebrazione del Matrimonio. Per essere cattolici è sufficiente quindi essere coerenti con la nostra morale e seguire gli impegni presi dinanzi a Dio. Purtroppo, o per fortuna, nella vita cristiana non può esistere l’opportunismo, né l’ipocrisia e neppure l’arrivismo, ma solo la coerenza nella fede. Voglio sottolineare la parola “coerenza” perché è alla base del comportamento quotidiano di noi tutti, ed in particolare di quello dei farmacisti cattolici. Coerenza significa solo essere sé stessi, nient’altro.

Perché quindi vergognarsi di essere cattolici? Non siamo certo una minoranza, visto che la maggior parte ha ricevuto il Battesimo. Però ci comportiamo come se lo fossimo, con la paura di esternare le nostre convinzioni e le nostre idee, forse nel timore di essere criticati o considerati “bigotti”, o forse per semplice noia o menefreghismo. Ogni giorno mi avvicino a persone che nella stragrande maggioranza sono cristiane, che credono in Dio e nell’importanza dei suoi insegnamenti: a costoro non dovrebbero essere estranei i principi e gli ideali della nostra religione. Non è certo una dimostrazione di coraggio se dico di essere credente, eppure alcuni mi guardano sbigottiti, come se mi vedessero per la prima volta. Da anni sento dirmi: “sei una mosca bianca”. Ma credo che le vere “mosche bianche” siano altri, tutti coloro che seppur considerandosi cattolici, non sono coerenti con i principi cristiani, a posto con la loro coscienza solo se sanno adattare gli insegnamenti della Chiesa alle loro mutevoli esigenze. Sono convinto che fermandoci a riflettere sulle opportunità e le occasioni della nostra vita, le scelte future potrebbero essere più sagge e proficue sia per noi, che per gli altri. Non dobbiamo vergognarci di fare del bene e di avere una visione positiva, ma di non perseguire i nostri ideali se realmente crediamo in essi.

Ho scelto di entrare nell’UCFI perché credo di poter dare il mio piccolo contributo alle iniziative che verranno proposte ed aiutare i miei colleghi a far crescere questa associazione nella nostra regione, ma anche per avere l’opportunità di imparare da tutti coloro che posso incontrare nel mio cammino di fede, per migliorare me stesso nel confronto e nel dialogo. Ci sono persone più capaci di me, che operano attivamente nel sociale e offrono la loro vita per gli altri, ma non desiderano appartenere ad un’associazione perché non amano essere posti sotto un’etichetta. Altri preferiscono operare nell’anonimato per avere maggiore libertà. Credo sia giusto rispettare le scelte di tutti e comunque lavorare insieme a progetti comuni: far parte di un’associazione non è una necessità, ma una grande opportunità. Essere da soli a promuovere e sviluppare delle iniziative può essere appagante per i risultati positivi raggiunti, ma mostra tutti i limiti dell’umana natura. Coordinare e mettere insieme gli sforzi e i piccoli impegni di molti, può dare dei frutti più importanti e più duraturi. Auspico che le persone di buona volontà che seguono la morale cristiana nelle loro opere, possano trovare nella nostra associazione un interlocutore attento alle loro proposte e un valido alleato per le loro idee. Vorrei che l’UCFI possa diventare la casa di tutti i farmacisti cattolici, nessuno escluso, così come la Pastorale della Salute lo diventasse per tutti gli operatori sanitari: forse una casa con mille porte e mille finestre, ma sempre un punto di riferimento costante per chi cerca sé stesso negli altri, semplice strumento nelle mani di Dio.

Dott. Giorgio Falcon

2 Commenti a “Perché vergognarsi di essere cattolici?”

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